La Dea Virago e il “DisOrdine” degli Avvocati

Ore 9.00 della solita mattinata milanese. Palazzo di Giustizia: quello che il realismo poeticus capitolino ha ribattezzato “Er Palazzaccio” (- e ci sarà pure un perché… -), nella nostra (meno fantasiosa) capitale padana spicca tra le guglie del Duomo e la nebbia…
Nell’ordine ti trascini borsetta/24 ore/borsa della palestra (tanto per non perdere l’abitudine alle acrobazie funamboliche con cui riesci a incastrare – non si sa mai – anche lo sport) e – ovviamente – sei in bicicletta perché così si fa prima ad arrivare alla famigerata udienza.
E’ così che al “trompe d’oeil” della camicetta (impresso sull’ascella pezzata come un marchio indelebile) si aggiunge il fremito sottile che ti percorre la schiena non appena ti accingi a raggiungere la meta agognata, e ti assale il vago sentore “che qualcosa non torna”.
Il Tempio littorio della Giustizia, (che Dio ce ne preservi) pare dare un presagio assai sinistro di tutto ciò che attenderà i suoi abituali frequentatori già dall’ingresso, dove a dominare la scena, incontrastata, la sua Dea Tonante fa sorgere più di un dubbio sulle generalità anagrafiche della virago che tanto capolavoro ispirò, o piuttosto sui gusti sessuali del suo artefice…
L’ambiguità ci assale, e anche le certezze più granitiche sembrano polverizzarsi di fronte a inquietanti dubbi (eppure, considerati “certi rischi” che ci sembrano essere minacciati, quale migliore monito a colui che si accinge a varcare la soglia della “città dolente”?).
Un vago presagio, dicevo.
Ecco appunto.
Se una tale epifania si fosse mai potuta palesare al Sommo Poeta, di certo Egli ne avrebbe tratto ispirazione per i suoi migliori canti dell’Inferno… ma la cosa che di più ne avrebbe colpito l’attenzione e stimolato la fantasia sarebbe stato il mistero per cui, anno dopo anno, la moltitudine degli “addetti ai lavori” (ovvero quella categoria da cui tutti cercano di stare lontani: gli avvocati) si moltiplica mirabilmente, accalcandosi nei corridoi dei tribunali proprio come i pellegrini del Giubileo di Bonifacio.
Mirabilia!
E’ così che ti sovrasta la certezza agghiacciante di non stare veleggiando sulla meta della tua routine lavorativa assieme a tanta altra gente ordinariamente affaccendata come te. Piuttosto, il tuo sgomitare verso l’aula di udienza assomiglia sempre più ad un percorso ad ostacoli, e hai la netta impressione di annaspare in un oceano di squali pronti ad addentarti al primo segnale di cedimento.
Inevitabile che si facciano sempre più affilate le armi di dissuasione contro una simile impresa titanica. Ordine preposto a tal compito: quello degli Avvocati, i cui membri assurgono a Cavalieri templari dell’incolumità professionale di noi tutti pellegrini dei Tribunali Liberati del secolo ventunesimo.
E’ proprio nel bel mezzo di queste amene considerazioni che mi imbatto sorpresa nella mia collega di studi, quella con cui fino a ieri ho diviso il banco nei famosi “corsi di formazione professionale” (alias: facciamo in modi di spillarti altri soldi) in vista dello spauracchio di ogni praticante avvocato: l’esame di stato.
Ci abbracciamo commosse come vecchi commilitoni…
“Ehi, allora ce l’abbiamo fatta!” …segue: reciproco screening dei rispettivi aspetti fisici del “prima la cura – dopo la cura”…
– “Come va con la gamba rotta?”
– “E tu con l’amputazione del braccio?”…
rectius: – “Ma che hai fatto ai capelli?”
– “E sai, lo stress… e tu… ma non sei dimagrita un po’ troppo…?”
Preciso: sono passati 3 mesi dall’ultima volta che ci siamo incontrate in occasione della famigerata e utopica notizia del superamento degli scritti… nel frattempo non ci hanno spedito in Afghanistan, piuttosto siamo reduci del trattamento post-orale. Ovvero: “Le mie prigioni 2 – la vendetta”.
Penserete: le solite nullafacenti che dopo aver “cazzeggiato” all’università si ritrovano sul groppone gli studi non conclusi… Errore: entrambe abbiamo una media universitaria di 30/30 e un bel 110 di laurea… Appunto: se così non fosse saremmo tuttora in attesa di perdere i kili e i capelli, come i nostri compagni di disavventure che non hanno avuto questa “fortuna” di passare l’esame al primo colpo.
Risultato:
– “Allora adesso che farai?”
– “Mah sto vedendo di cercare un altro studio perché sai con le solite 500 Euro al mese in nero non è che si campi”…
Effetti collaterali: il portafoglio continua a piangere come prima…
Forse qualcosa non torna?

Come mai i nostri dirimpettai inglesi si ritrovano già all’età di 25 anni a far parte della classe dirigente, con un prestigioso appartamento nella City, una famiglia (come sarebbe normale) a carico e il the delle 5.00 ad attenderli, fumante, a casa?
Diagnosi: le università straniere non sono concepite come parcheggi per gli studenti privati di stimoli da una politica apatica che, incapace di risolvere a monte il problema pensionistico, impacchetta le proprie risorse umane, vita natural durante, in democraticissimi ripostigli per non pensanti. E ti condisce via raccontandoti che in questo modo garantisce a tutti il diritto allo studio!
Così ti ritrovi alle soglie dei trent’anni che il tuo curriculum vitae vale meno di zero perché hanno creato università di massa che sfornano deficienti qualificati un tot al kilo, e in questo caso il concetto di democrazia funziona benissimo, indi per cui ti ritrovi nel calderone a dover nuovamente dimostrare che tu “sei diverso”, ergo vali qualcosa.
Fare selezione a monte, non a valle, significa fornire un servizio alla collettività, chi vale e dimostra di impegnarsi va all’Università, quella di vecchio ordinamento, con laurea (lunga), tesi ed esami da sostenere con una certa media e in tot anni, con “bonus” di tempo per chi lavora (e lo certifica). Gli altri: laurea breve o specializzata, o a fare gli idraulici, i manovali, la manodopera qualificata, che ne abbiamo tanto bisogno Ciò significa, per chi non lo avesse ancora capito (vero Letizia?): che i crediti formativi sono un concetto che si addice solo alle banche, che i recuperi a punti li lasciamo alle patenti (qualora valessero qualcosa) e alle assicurazioni. La scuola non è fatta di rapporti obbligazionari, perché l’unico obbligo esistente in tale ambito è quello che ha lo studente verso se stesso innanzitutto, e quindi con la collettività: non prenderla per i fondelli, come invece fanno benissimo i politici che tanto hanno architettato.
Altrimenti (e lo stiamo vedendo da troppo tempo), il perbenismo paraculo con cui trattiamo gli studenti tornerà loro triplicato in interessi usurai, perché i famigerati “debiti” con la vita prima o poi si pagano, tanto più cari quanto più si voglia posticipare la resa dei conti.
Anticipare gli esami e delegarli alla loro sede naturale ed istituzionale, la scuola, significa creare giovani qualificati, professionisti responsabili, e non trentenni disoccupati che tirano a campare in attesa di “passare l’esame” come si gioca un terno al lotto sulla ruota di Reggio Calabria.
Creeremmo così studi “minori” specializzati in contenziosi routinari, come recupero crediti, (decreti ingiuntivi e compagnia bella per il civile), reati bagatellari e sanzioni amministrative nel penale, e studi “maggiori” che trattano le cause più importanti patrocinando davanti ai Tribunali e alle Corti Superiori.
Ma soprattutto otterremmo altri strabilianti risultati: la possibilità di abolire un “ordine” professionale che altro non serve che a diffondere disordine e panico tra le fila dei praticanti, ripuliremmo i corridoi del Tribunale dalla moltitudine dei “dannati” che imperversa come sbattuta dal vento dantesco, creeremmo giovani qualificati e non vecchi disoccupati, e le belle ragazze finirebbero di perdere kili e capelli: e poiché di belle ragazze il Tribunale, ultimamente, è pieno, credo che ciò renderebbe assai più liete anche le giornate di chi è costretto, suo malgrado, a passare dinanzi alla statua della Dea Virago. Videnda est.

Silvia Aonzo

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