“Dā mihi, inquit, ubi cōnsistam, et terram commovēbō”
Dartemi un punto di appoggio e vi solleverò il mondo, si chiama braccio di leva.
Quella barchetta da 56 metri che si è mangiata la vita di sette persone a Palermo, non lontano da quella Siracusa che diede i natali al buon Archimede è la tragedia di una leva, e il comandante con ben 22 anni di esperienza, ottimo marinaio se Camper & Nicholson gli ha affidato il malloppo, la storia della leva di archimede non l’ha mai studiata altrimenti avrebbe lasciato la deriva fuori. E mi spiego (spero)!
Cinquanta tonnellate di bulbo retratto stavano sotto il pelo dell’acqua (punto di fulcro) per quattro metri, l’albero è 75 metri ossia 20 volte, ossia 50ton diviso 20 volte fa 2.500 chili. Perchè per la legge di archimede ogni volta che si raddoppia la leva si dimezza la forza per vincere la resistenza,
La velocità del vento di un tifone è di solito intorno ai 40 metri al secondo (80 nodi), che corrisponde a circa 200 chilogrammi per metro quadrato: l’albero è largo almeno 30 centimetri ossia ogni tre metri fa un metro quadro di resistenza. quindi 25 metri quadri di resistenza. Per 200 chili al metro quadro fa quasi 5 tonnellate, ossia quanto sufficiente per stravaccare la barca, inondare le finestrature sopra il ponte ed allagare gli interni.
E’ vero che abbattendo l’albero diminuisce l’esposizione e la spinta, ma con un bell’abbrivio e un’onda assassina nell’acqua ci arriva anzi ci rotola, per questo le barche a vela di una volta potevano fare il giro completo e poi rialzarsi, a differenza di quelle moderne erano monostabili.
Questi saranno anche i conti del salumiere, come credere alla maledizione delle barche che cambiano nome (e questa si chiamava Salute!), ma non c’è altro modo per mandare a fondo una bestia da 500 tonnellate se non quello che manda a fondo anche un optimist da 50 chili: si chiama scuffia!
Archimede lo sapeva.