La solitudine del comico.

Quella dello sberleffo e del paradosso una volta era una bella professione: si cercavano anfratti nell’animo umano esplorandoli con manovre dal retrogusto feroce, dove una certa sana cattiveria colmava ogni distanza tra il comico e l’osservatore. Ma come fa Biden a presentare Zelensky chiamandolo Presidente Putin? E San Giuliano il ministro per caso , come fa a parlare degli inservienti di Pompei ringraziandoli per la loro attività al Colosseo?
E il povero attore comico che si ritaglia il pranzo con la cena inventandosi sproporzioni come può scovare una pirlalata più dilagante dei fatti di cronaca spicciola?

Quarant’anni fa con Francesco Salvi al Derby di Milano leggevamo i quotidiani scegliendo le stranezze della cronaca come motivi di comicità, oggi basta aprire la prima notizia del telegiornale per fare il pieno di rutti mentali: un povero comico che ha scelto questa professione infame che cosa deve fare? E guai se per caso si addentra in qualche argomento politically scoorect, il main stream lo decora con una bolla papale di sapore neovaticano: carriera finita! Un film cardine dei nostri pensieri come Amici Miei oggi sarebbe impesabile.


Il bello è che l’inizio del secolo scorso l’hanno chiamato decadentismo, e questo ventunesimo dovrebbero invece intitolarlo alla memoria di Tognazzi quando faceva il petomane. Siamo piombati in pieno peto-umanesimo: le scorregge dilagano ovunque senza pudore! Olezzando debordano con brio strapazzato.

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