Diego Gelmini

Imprenditore, giornalista, scrittore, editore

«… Diego Gelmini: l’enormità buona e insieme potente, la furia che si agita e sorride… Gelmini non si arrende.

Ma per lottare bisogna saper guardare la realtà senza pitturarla di rosa. Gelmini ci diverte ma ci sprona anche a diventare difensori della nostra tradizione crocifissa (nei due sensi della parola)».

– Vittorio Feltri –

29 - 03 - 2025

  Stefano Bellisari in arte Elio, si stava laureando in ingegneria e lo chiamavo a casa, e quella adorabile donna di sua mamma parlava solo milanese stretto, e per uno come me cresciuto in ringhiera era una festa, mi sembrava di tornare a casa. Erano gli anni dei primi vagiti di Elio e le Storie tese, un quartetto di disperati di talento, scorbutici e ingegnosi, poco inclini a interviste e cerimoniali, si esprimevano con le canzoni profondamente idiote, ma talmente idiote da essere geniali. Poi al massimo giocavano a calcetto con me, Silvio Orlano e qualche altro malcapitato spettatore come l’Angela Finocchiaro, altro pilastro della nostra voglia di vivere. Passano 45 anni e mi ritrovo Elio a fare il pagliaccio come giudice del talent giapponese “LOL Talent Show”, una roba che mi scaturisce la stessa tenerezza che provo per il Prof. Unarath (spazzatura!) dell’Angelo Azzurro, che nel film di Sternberg del 1930 rincorre inutilmente la provocante cantante Lola Lola (Marlene Dietrich), e la sposa. Poi finiti i soldi è costretto a diventare clown nella compagnia e vedere la sua compagna tradirlo con un altro attore: torna a scuola disperato e muore tra gli scherni, aggrappato alla sua vecchia cattedra. Ora io stimo Stefano e le sue tournee che sta facendo con le canzoni di Jannacci e mi chiedo che bisogno c’era di arraffare ancora un po’ di soldi con questi siparietti nauseanti di una comicità stracciona e irritante ma negata. Per dirla con il mio amico Aldo Grasso (veniamo dalla stessa Università e dagli stessi maestri): “Non fa ridere neanche volendo e rende patetico il comico”. Che il personaggio comico può fare pietà non è roba recente, Fantozzi - che siamo tutti noi - è certamente miserabile ma ha la forza della consapevolezza della sua condizione umana e rincorre un maldestro desiderio di redenzione, non è compiaciuto della sua condizione e la Silvani per fortuna rimane un desiderio irrisolto.  
25 - 11 - 2024

  Io ri-fiuto il comico Bergonzoni perché dopo la prima volta in cui l’ho fiutato ormai quarant’anni fa, l’ho ri-fiutato nuovamente oggi e so da decenni che non siamo in presenza di un comico ma dell’ultimo filosofo potabile, un semantico che scardina il linguaggio e spalanca praterie umane sconfinate. Rifiutarlo significa fiutarlo di nuovo, per usare i suoi giochi linguistici. Il suo spettacolo non è una performance comica è un bagno di consapevolezza lessicale trasversale nel senso che se non stai attento, ti tira sotto senza tante storie e ti perdi il filo di questa arguta spiritualità della comunicazione danzante! Un filo illogico, conduttore potente e originale lega un’ora e 40 di monologo a ranghi serrati, senza neppure bagnare l’ugola con un bicchiere d’acqua: un ritmo potente come una doccia gelata di concetti fratelli, in una vasca di definizioni apparentemente sconnesse in cui nuotano i sentimenti più autentici, nascosti sotto un sorriso. Il messaggio è chiaro: l’uomo deve connettersi con i suoi simili e la congiungivite è indispensabile per salvare la propria anima e la vita dei bambini. Il banchetto di Save the Children è lì all’uscita che aspetta il pubblico di fianco a quello dell’ultima fatica letteraria del nostro: Aprimi Cielo. E dopo quasi due ore di questa doccia di paradossi, il pubblico non ha nessuna intenzione di scollarsi dalle sedie, come tramortito da un’onda incessante di positività e affetto. Non lo vuole mollare neanche dopo che lui ha circumnavigato due volte l'intera platea e dice "Questo pezzo di spettacolo all’arena di Verona non lo potrò mai fare!". Ma le invenzioni linguistiche del nostro autore che utilizza tutti i meccanismi della comicità teatrale non sono affatto delle ironie agghiaccianti come quelle di Woody Allen, sono piuttosto dei sistemi di supporto a idee pesanti regalate con un po’ di umorismo, esattamente il ruolo che interpreta il filosofo a piede libero Nicola Donti che gira per gli ospedali e sostiene di essere discepolo del nostro Alessandro. Per chi lo conosce bene questo ex ragazzo attore-prodigio nato a Bologna il 21 luglio 1958 diventa un naturopata: ti cura senza farmaci con rimedi naturali. Io lo incontrai per la prima volta nell’autunno del 1983 al Derby Club in una serata storica dove si presentavano gli artisti dell’annata e tra loro c’erano alcuni nomi come Giobbe Covatta, Paolo Rossi, Enzo Iacchetti e naturalmente Alessandro Bergonzoni. Era appena uscito dal DAMS di Bologna dopo una laurea in giurisprudenza e portava in scena un monologhetto sui piccioni di Piazza Maggiore: "Ma che cosa ti devo dire?” una piece senza senso ma piena di significati. Lui aveva 25 anni e io pure. E anche lì già da quegli albori non ti diceva nulla ma capivi che aveva un sacco di cose da dirti. E cominciò a dirle l’anno successivo alla Sala Fontana con La saliera e la ape Piera, anche lì il non senso delle parole già nascondeva tutta la filosofia di vita di questo autore supportato da sempre da uno scudiero insostituibile, un personaggio di robusta competenza che è il suo regista e il suo uomo di comunicazione, Riccardo Rodolfi. Così rotolano in scena figure e personaggi che Bergonzoni maneggia con sapiente ironia e con una energia da grande interprete teatrale: il terzo bis, quello che serve per cercare di mandare a casa il pubblico incollato alle sedie, lo vede addirittura protagonista di un grammelot che parte dal finto idiona tedesco e vira verso il russo, poi il cinese e persino verso la parodia degli indiani d’America, ossia la dimostrazione - se ancora ce ne fosse bisogno - che il talento teatrale del Nostro non è inferiore né a quello dell’autore né a quello del filosofo. E per finire in bellezza la scrivania ad altare, unico oggetto scenico sul palco, si trasforma scoperchiandosi in un sarcofago, perché alla fine del percorso umano Arrivano i Dunque e dunque quella è la strada che ci porterà via, ma nel frattempo è nostro dovere salvare l'umanita violenta e soprattutto i bambini grazie alla congiungivite Nell’attesa che i dunque arrivino, siamo tutti invitati a partecipare con i vestiti rivoltati addosso al movimento della rivolta degli obiettivi, quelli che non siamo riusciti a raggiungere mentre il dunque ha raggiunto noi, insalutato ospite.

Diego Gelmini

24-11-2024 Arrivano i dunque Alessandro Bergonzoni Teatro Elfo Puccini - MILANO
21 - 10 - 2024

L’Ultimo Metrò” da Bozzo a Truffaut. Metti una sera al bistrò, di lunedî, orario aperitivo inoltrato e circostanziato. Siamo al “L’ultimo Metrò” di via dei Transiti. Tra birre aperitivi e piattini sfiziosi, un bel bar-buchetto all’angolo che vuole ricordarci i film di François Truffaut, l’ultima Nouvelle Vague del cinema che ha riservato brividi di emozione cinefila. Ma non siamo a Montmartre, siamo in zona Viale Monza, dove negli ultimi quarant’anni sono fioriti tutti i comici di Zelig e questo barretto simpatico e straordinario è semplicemente uno spin-off mentale di quello Zelig un po' più conosciuto al grande pubblico, che è parente di questo anfratto di buon umore per via di una parentela che lega Mattia Bozzo al padre Giancarlo, vera anima pulsante allo Zelig dagli anni 80 ad oggi. Ma siccome non ci piace farci mancare qualcosa, il piccolo Bozzo, classe fresca dei Millenial, è anche nipote del nonno Franco Bozzo che portava Milano alla Sala Fontana il teatro dialettale genovese. Ed è quasi inutile ricordare che la comicità italiana da Gilberto Govi ad Antonio Ricci, passando per Ave Ninchi, Ric & Gian, Emanuele Luzzati e Paolo Villaggio fino a Tullio Solenghi e Maurizio Crozza, vengono tutti dalla stessa scuola. E in quella Sala Fontana del 1984 dopo il Maestro Bozzo si esibiva un certo signore poco più che ventenne di nome  Alessandro Bergonzoni, l'ultimo filosofo semantico fwelicemente in circolazione! Al “L’ultimo Metrò” tutti lunedì si incontrano giovani ragazzotti di buona speranza: questa volta è toccato a Mauro Locatelli, seguito dal presentatore romano-rumeno o rumeno-romano, come preferite, Marsel Perleci. E per finire una napoletana “morbida” nei modi e nei temi, Valentina Iaia, e una nuova promessa strizzata di voglia di cavalcare i palcoscenici nelle scarpe di Alessandro Cognini, marchigiano con la parodia del milanese moderno dotato degli skill trogloditi dell’uomo preistorico: difatti Dio è stato il primo maschilista della storia epperó si stava meglio al tempo dell’uomo con la clava: forte e trombatore. In platea - si fa per dire - scorre una sfilata di ragazzi con compagne sfiziose, un mondo nuovo e interessato alla novità e al bello, un mondo prezioso che é giá un miracolo incontrare dati i tempi milanesi espressamente desolanti. Si replica fino a fine fnovembre (per ora!), ogni lunedì quattro nuovi adorabili squinternati: il pubblico vota col QRcode, poi chi vince indosserà una bella esibizione a Zelig, quello famoso di viale Monza, il 25 febbraio 2025. Vinca il migliore! (o anche no...?).
05 - 09 - 2024

L’allievo è il maestro.

Il nostro (ex?) ministro della incultura è la persona giusta nel posto giusto: se è vero che la cultura di un popolo si misura dai suoi comportamenti e dalle sue tradizioni il nostro Jenny Delon, come lo chiama Dagospia, incarna perfettamente le nostre magnifiche attitudini: arraffoni, bugiardi, ignoranti e trombatori!
Se Vittorio Sgarbi nei panni del ministro della cultura- che gli sarebbero del tutto aderenti - avesse ammesso di trombare la signora Maria Rosaria, al massimo gli si poteva chiedere come mai una sola per volta, ma quando il nostro bravo Gennaro o’ministro nnamurato, nega il tutto, compresa anche l’evidenza e non soltanto a sua moglie ma a tutti gli italiani è difficile perdonargliela, non perché è un trombatore professionista come molti altri, ma perché non si può fare il Ministro della cultura piazzando Time Square a Londra aggiungendo una serie di altre capocchiate tipo quella del Colosseo & Pompei e di Napoli con i suoi 250 anni di storia che fanno inorridire. Gennarino non deve dare le dimissioni per aver praticato la signora Boccia (nomen Omen) che invece bisogna stimare moltissimo in ogni sua recondita virtù, filler compresi, ma semplicemente perché un Ministro della cultura così aderente alla cultura popolare italiana non si era mai visto.
E non é il caso di stappare champagne, propenderei per il rutto libero.

https://twitter.com/andreazalone/status/1831689759627837537?s=46&t=hhR3x4FtU29j3-i4fT5mBA

Insignito del titolo di

Cavaliere Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana

Data del conferimento: 2 giugno 2011