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Zelig – Open Mic alla Diaspora: il gran finale del 29 aprile 2025

L’ultimo metro prima del ridere: finale Zelig 2025

 

Zelig ha chiuso la seconda edizione di “Open Mic in Tour” con una serata dove il talento si è mescolato al grottesco autentico, come spesso accade nelle performance degli esordienti: alcuni sembravano nati per stare sul palco, altri per stare seduti a guardarli.

Una considerazione preliminare: dai copioni e dai personaggi comici presentati, generalmente macchiette metropolitane, è completamente scomparsa la satira, ossia la critica politico-sociale, e in gran parte anche l’ironia, ossia l’arte della sproporzione e il sentimento del contrario.

È il segno dei tempi e dei contenuti, il trionfo loffio del politically correct, come se la risata fosse una carezza per bisognosi: la risata viene da un’aggressione feroce ad una realtà ingombrante e qualche volta insopportabile. Gigionare sui piccoli fatti quotidiani e soprattutto sciorinare battute sul basso ventre non è la strada per affrontare una realtà ogni giorno più complessa e articolata. E infine, per attirare l’attenzione del pubblico bisogna fare teatro, imparare a parlare, evitare di mangiarsi le parole e soprattutto mettere dentro le parole qualcosa di interessante. Zelig ha un’accademia apposita per fare questo e ci arrivano quelli che hanno capito: speriamo che siano sempre di più.

Ecco i cavalieri di questo secondo Open Mic Tour:

Le promesse (vere o presunte)

  • Daniele Bedon, Premio Critica (ossia il mio): l’unico che scrive ancora come un autore vero. Ironico, satirico, irriverente. Riesce a oggettificare le donne con leggerezza e a parlare di “frociaghi” con una lingua che scivola via prima di essere censurata. Bravo. Anzi, bravo davvero.

  • Davide Fabrocino, Premio Critica (sempre io!): da Gavi a Montecarlo con un bagaglio di comicità sulla cataratta e la pensione. Satira sui ricchi che funziona. Ha il ritmo, ha il testo. È un attore che ci crede. E fa credere anche noi.

  • Rosario Mancuso: ingegnere aerospaziale con una laurea presa in DAD, ci regala la stand-up più strutturata della serata. Sembra uno che a Palermo ha imparato a difendersi – anche sul palco. Affitti come estorsioni e Ryanair come nuova mafia. Resti ingegnere, ma se continui così, ti tocca cambiare mestiere.

I casi umani da tenere d’occhio

  • Daniela Losini: neurodivergente dichiarata, ripete tutto due volte (ripete tutto due volte). Ha un cervello, manca solo un autore. È un personaggio da coltivare, ma ha bisogno di teatro, struttura, mano. Intanto la voce c’è.

  • Alessandro Rusconi Clerici: preservativi al curry e ironia milanese. Non sfonda ma si fa notare. Un po’ comico, un po’ surreale. Serve affondo.

  • Borislav Tsurkan: dalla Moldavia con umiltà, cerca di far ridere senza urlare. Sembra uno dei Fratelli Ruggeri giovane, con i piedi per terra e la faccia da bravo ragazzo. Gli manca la cazzimma. Ma è sulla strada buona.

I sonnolenti (con affetto)

  • Otello Piccoli: sembra uscito da una chat del 2001. Fa nascere le emoticon, ma la comicità si è persa nel modem. Mancano ritmo e ironia.

  • Beppe Noto: tecnica da YouTuber, contenuti da vuoto spinto. Non basta il cappellino per fare comicità. Il palco chiede di più.

  • Danilo Curto: da Rozzano con onestà, ma zero guizzi. Serve una svolta. E un autore.

  • Elena Brunetta: da Venezia con la “rassegna vaginale”. No testo, no teatro, no grazie. Da rivedere con un copione vero.

  • Alessio Roger (Rose): eccentrico calabrese. E basta. Manca un po’ di energia. Più stile TikTok che Zelig.

 


 

 

 

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