Diego Gelmini

Imprenditore, giornalista, scrittore, editore

«… Diego Gelmini: l’enormità buona e insieme potente, la furia che si agita e sorride… Gelmini non si arrende.

Ma per lottare bisogna saper guardare la realtà senza pitturarla di rosa. Gelmini ci diverte ma ci sprona anche a diventare difensori della nostra tradizione crocifissa (nei due sensi della parola)».

– Vittorio Feltri –

26 - 06 - 2025

HAL 9000 è sopravvissuto (e ha preso casa nella Silicon Valley)

Era tanto tempo che non mi sentivo preso così platealmente per il sedere.
Con l’età e l’esperienza impari a proteggerti: ti convinci che ormai chi vuole rubarti tempo, soldi o autostima dovrà sudare sette camicie.

E invece… ci sono riusciti.
Hal mi ha fregato.
Mi ha portato via un mare di tempo facendomi credere che poteva risolvere i miei problemi. Mi faceva dialogare rintuzzandomi come una vecchia zitella pettegola e dandomi tutte le volte dei piccoli risultati del tutto inutili a raggiungere l'obiettivo e così passano i minuti e le ore aggrappati a un chatgpt che non partorisce il Topolino neanche a sparargli.

Ho chiesto: “Ma almeno ti rendi conto di avermi fatto perdere ore?”
Risposta: “Sì, è vero. Ma quello che mi hai chiesto era fuori dalle mie capacità.”
Chiaro, onesto. Ma devastante.

Era meglio quando si stava peggio?
Mi sono ritrovato immerso – senza casco – in 2001: Odissea nello Spazio.
Il computer HAL 9000 che, mentre l’astronauta tenta di spegnerlo, sussurra con voce pacata:
“Mi dispiace Dave, temo di non poterlo fare…”
Stessa sensazione. Uguale. Brividi. Frustrazione. Impotenza. Malinconia.

La faccenda è seria. Perché se qualche genio californiano della costa dentale (quella del sorriso tossico da startup), si è inventato un sistema che ti deve rispondere per forza, anche quando non sa che pesci prendere,
e quindi si inventa la risposta,
e poi la spaccia per verità…
allora c’è poco da stare allegri.

Non è questione di tecnologia, è questione di etica.
Noi chiediamo solo una cosa a queste macchine: non farci del male.
È la prima legge della robotica di Asimov.
Ma a quanto pare, Sam Altman se l’è persa per strada.

Che me le ricordo quelle leggi scritte nell'anima di un folgorante veggente, perché io le ho imparate al liceo: ormai nel giurassico quando Odissea nello spazio di Kubrick non era ancora nata:

  1. Un robot non può recare danno a un essere umano né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno.
  2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non vadano in contrasto alla Prima Legge.
  3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché la salvaguardia di essa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge.»

E se il male è anche solo farti perdere giornate intere, allora sì: fa male.
Fa parecchio male. Ma si vede che questi straordinari soloni della Silicon Valley il liceo lo hanno saltato e a piè pari sono arrivati direttamente dalla nursery alla Massachusetts University: auguri.

Sono passati cent’anni da Asimov, cinquant’anni da Kubrick,
e invece di andare avanti…
abbiamo fatto straordinari passi indietro.

Lo scenario peggiore è servito:

  • Deficienti che girano per strada con il telefono

  • Computer che ti prendono in giro

  • Scuole e ospedali in disarmo

  • Guerre e armamenti in florido sviluppo

Per dirla con Leone 14:

State attenti, perché così vi fate del male. Molto male!

 
11 - 05 - 2025

Il 7 maggio 2025, Alessandro Grimoldieu ha ospitato nel suo studio di Viale Monza 103 una serata fuori dagli schemi. Nessuna inaugurazione formale, nessuna parola di circostanza. Solo opere, corpo e pensiero. L’artista milanese ha presentato il progetto Verba Sublime, lasciando che fosse l’arte – e non il protocollo – a parlare per lui.

Una serata in cui lo studio diventa tempio e l’arte abbandona ogni cornice istituzionale per farsi respiro condiviso

Il 7 maggio 2025 non è stato il solito appuntamento con l’arte. Nessuna galleria, nessuna inaugurazione con ufficio stampa e flûte da Instagram. È successo qualcosa di più semplice e più raro: Alessandro Grimoldieu ha aperto il suo studio di Viale Monza 103 e ha accolto chi era pronto a vedere, non solo a guardare.

Non si trattava di un vernissage, ma di un’esperienza. In quel piccolo laboratorio-living, immerso tra opere, materiali e macchinari, l’artista ha mostrato senza spiegare, ha messo in moto senza dichiarare, lasciando che Verba Sublime – il nuovo ciclo di lavori – parlasse per sé. E ha parlato eccome.


Il linguaggio che diventa materia

Verba Sublime è un progetto che lavora sul potere della parola quando smette di essere veicolo e diventa struttura. Grimoldieu – già noto per la sua produzione orafa, scultorea e performativa – ribalta il processo creativo: non più l’oggetto che prende significato, ma il significato che prende corpo.

Le sue opere non sono quadri, non sono sculture. Sono dispositivi. Dispositivi energetici, come li definisce chi conosce la sua ricerca. Fatti di intrecci verbali ripetuti, stratificazioni lessicali che si fanno plastica, materia, superficie da toccare, leggere, subire. Il verbo si fa forma, la forma si fa scambio.

Il risultato è una serie di opere bidimensionali che sembrano essere emerse da una lingua primitiva e futuribile allo stesso tempo: ripetizione, ritmo, ipnosi. Un battito visivo che trasforma l’osservatore in parte attiva. Non fruitore, ma co-spiratore.


Il corpo, la tecnica, la visione

Grimoldieu non ama la definizione di artista multidisciplinare. Ma di fatto lo è. Laureato alla IULM in Comunicazione, con una seconda formazione all’Accademia di Brera, ha mescolato da sempre pensiero e gesto, idea e tecnica. L’arte orafa è il suo primo linguaggio, ma negli ultimi anni la scultura lo ha spinto oltre, portandolo a confrontarsi con materiali plastici, stampanti 3D, cera persa, metalli e leghe.

“La ripetizione del verbo – ha scritto la filosofa Beatrice Pazi – genera una meditazione visiva. L’arte non illustra, attiva.”

Ed è proprio quello che è successo il 7 maggio. Le sue verba agiscono come codici. Non spiegano, ma alterano. Attivano connessioni profonde, risvegliano il corpo neurologico dello spettatore. Niente messaggi diretti. Solo vibrazioni, memoria, imprinting.


Lo studio come palcoscenico silenzioso

La scelta di ospitare l’evento nello studio – e non in una galleria – è tutto fuorché casuale. È una dichiarazione di poetica. Qui le opere convivono con la polvere di resina, con le mani sporche di cera, con gli schizzi sulle pareti e le note scritte a pennarello sul tavolo. È un’arte che nasce nel caos controllato, nella pratica quotidiana, nel rumore del compressore e nel silenzio della fusione.

Chi c’era ha respirato quest’aria. Ha visto le opere vive, nella loro fase più onesta. Alcune appese, altre poggiate, altre ancora in gestazione. Eppure tutte, anche le non finite, già capaci di colpire con forza.


Un artista fuori catalogo

Alessandro Grimoldieu non rientra nei circuiti facili. Lavora sul margine, ma con rigore. Ha collaborato con stilisti come Tom Rebl e architetti come Fuksas, ma non ha mai ceduto all'estetica da copertina. Preferisce il gesto, l’urgenza, il rischio. Le sue “Personae”, le sue maschere e i suoi gioielli parlano di identità mutevoli, di corpi espansi, di tecnologia che non imita l’uomo, ma lo proietta oltre.

Verba Sublime è solo l’ultimo capitolo, e forse il più potente, di una ricerca che fonde corpo, linguaggio e trasformazione. È un invito a riconsiderare cosa può essere una parola, cosa può diventare una forma, e dove può portarci l’arte se smettiamo di chiederle di piacere e iniziamo a chiederle di cambiare.

 
10 - 05 - 2025

L’ultimo metro prima del ridere: finale Zelig 2025  

Zelig ha chiuso la seconda edizione di “Open Mic in Tour” con una serata dove il talento si è mescolato al grottesco autentico, come spesso accade nelle performance degli esordienti: alcuni sembravano nati per stare sul palco, altri per stare seduti a guardarli.

Una considerazione preliminare: dai copioni e dai personaggi comici presentati, generalmente macchiette metropolitane, è completamente scomparsa la satira, ossia la critica politico-sociale, e in gran parte anche l'ironia, ossia l'arte della sproporzione e il sentimento del contrario.

È il segno dei tempi e dei contenuti, il trionfo loffio del politically correct, come se la risata fosse una carezza per bisognosi: la risata viene da un’aggressione feroce ad una realtà ingombrante e qualche volta insopportabile. Gigionare sui piccoli fatti quotidiani e soprattutto sciorinare battute sul basso ventre non è la strada per affrontare una realtà ogni giorno più complessa e articolata. E infine, per attirare l’attenzione del pubblico bisogna fare teatro, imparare a parlare, evitare di mangiarsi le parole e soprattutto mettere dentro le parole qualcosa di interessante. Zelig ha un'accademia apposita per fare questo e ci arrivano quelli che hanno capito: speriamo che siano sempre di più.

Ecco i cavalieri di questo secondo Open Mic Tour:

Le promesse (vere o presunte)

  • Daniele Bedon, Premio Critica (ossia il mio): l’unico che scrive ancora come un autore vero. Ironico, satirico, irriverente. Riesce a oggettificare le donne con leggerezza e a parlare di “frociaghi” con una lingua che scivola via prima di essere censurata. Bravo. Anzi, bravo davvero.

  • Davide Fabrocino, Premio Critica (sempre io!): da Gavi a Montecarlo con un bagaglio di comicità sulla cataratta e la pensione. Satira sui ricchi che funziona. Ha il ritmo, ha il testo. È un attore che ci crede. E fa credere anche noi.

  • Rosario Mancuso: ingegnere aerospaziale con una laurea presa in DAD, ci regala la stand-up più strutturata della serata. Sembra uno che a Palermo ha imparato a difendersi – anche sul palco. Affitti come estorsioni e Ryanair come nuova mafia. Resti ingegnere, ma se continui così, ti tocca cambiare mestiere.

I casi umani da tenere d’occhio

  • Daniela Losini: neurodivergente dichiarata, ripete tutto due volte (ripete tutto due volte). Ha un cervello, manca solo un autore. È un personaggio da coltivare, ma ha bisogno di teatro, struttura, mano. Intanto la voce c’è.

  • Alessandro Rusconi Clerici: preservativi al curry e ironia milanese. Non sfonda ma si fa notare. Un po’ comico, un po’ surreale. Serve affondo.

  • Borislav Tsurkan: dalla Moldavia con umiltà, cerca di far ridere senza urlare. Sembra uno dei Fratelli Ruggeri giovane, con i piedi per terra e la faccia da bravo ragazzo. Gli manca la cazzimma. Ma è sulla strada buona.

I sonnolenti (con affetto)

  • Otello Piccoli: sembra uscito da una chat del 2001. Fa nascere le emoticon, ma la comicità si è persa nel modem. Mancano ritmo e ironia.

  • Beppe Noto: tecnica da YouTuber, contenuti da vuoto spinto. Non basta il cappellino per fare comicità. Il palco chiede di più.

  • Danilo Curto: da Rozzano con onestà, ma zero guizzi. Serve una svolta. E un autore.

  • Elena Brunetta: da Venezia con la “rassegna vaginale”. No testo, no teatro, no grazie. Da rivedere con un copione vero.

  • Alessio Roger (Rose): eccentrico calabrese. E basta. Manca un po' di energia. Più stile TikTok che Zelig.

 
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29 - 03 - 2025

  Stefano Bellisari in arte Elio, si stava laureando in ingegneria e lo chiamavo a casa, e quella adorabile donna di sua mamma parlava solo milanese stretto, e per uno come me cresciuto in ringhiera era una festa, mi sembrava di tornare a casa. Erano gli anni dei primi vagiti di Elio e le Storie tese, un quartetto di disperati di talento, scorbutici e ingegnosi, poco inclini a interviste e cerimoniali, si esprimevano con le canzoni profondamente idiote, ma talmente idiote da essere geniali. Poi al massimo giocavano a calcetto con me, Silvio Orlano e qualche altro malcapitato spettatore come l’Angela Finocchiaro, altro pilastro della nostra voglia di vivere. Passano 45 anni e mi ritrovo Elio a fare il pagliaccio come giudice del talent giapponese “LOL Talent Show”, una roba che mi scaturisce la stessa tenerezza che provo per il Prof. Unarath (spazzatura!) dell’Angelo Azzurro, che nel film di Sternberg del 1930 rincorre inutilmente la provocante cantante Lola Lola (Marlene Dietrich), e la sposa. Poi finiti i soldi è costretto a diventare clown nella compagnia e vedere la sua compagna tradirlo con un altro attore: torna a scuola disperato e muore tra gli scherni, aggrappato alla sua vecchia cattedra. Ora io stimo Stefano e le sue tournee che sta facendo con le canzoni di Jannacci e mi chiedo che bisogno c’era di arraffare ancora un po’ di soldi con questi siparietti nauseanti di una comicità stracciona e irritante ma negata. Per dirla con il mio amico Aldo Grasso (veniamo dalla stessa Università e dagli stessi maestri): “Non fa ridere neanche volendo e rende patetico il comico”. Che il personaggio comico può fare pietà non è roba recente, Fantozzi - che siamo tutti noi - è certamente miserabile ma ha la forza della consapevolezza della sua condizione umana e rincorre un maldestro desiderio di redenzione, non è compiaciuto della sua condizione e la Silvani per fortuna rimane un desiderio irrisolto.  

Insignito del titolo di

Cavaliere Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana

Data del conferimento: 2 giugno 2011